Dopo il 4 marzo

Ho avuto la fortuna di organizzare il 25 ottobre al Circo Massimo insieme ad Achille Passoni. Ho ancora in mente quel fiume di gente, di varie estrazioni sociali, la più diversa ma che aveva in mente e negli occhi un sogno storico per il nostro Paese. Quello è il Pd che ho ancora in mente. Ed e' l'unico al quale personalmente posso permettere di togliere tempo alle mie, alle nostre cose e affetti piu' cari. Le scandalose liste per le politiche, I selfie imbarazzanti dagli scranni che furono di Moro e Berlinguer, i comunicati  stampa sulle prossime municipali e le  ulteriori spartizioni di quello che non c' è più fanno venire i brividi. Sono la cosa in assoluto più lontana dalla mia idea di Pd e, a quanto sembra, anche di gran parte di italiani.

Le sconfitte elettorali di solito hanno differenti caratteristiche, possono essere drammatiche, ultimative e talvolta, ma non sempre, salutari. Basta osservare l'aria che tira intorno e dentro al PD per capire che questa sconfitta elettorale è stata sicuramente drammatica e ci ha consegnato un ultimatum pesante. Se sarà salutare lo vedremo nei prossimi mesi e anni.

Nel frattempo si è aperto un frettoloso e sbrigativo dibattito dentro al PD. Dibattito che al contrario dovrebbe essere qualcosa di profondo, radicale, qualcosa di intimo se si può utilizzare questo aggettivo per un forza politica. Nel senso che è più che mai necessario guardare dentro noi stessi, nel cuore di ciò che è diventato il PD in questi anni, alla radice della sua organizzazione, delle persone e delle proposte. Uno sguardo e un'analisi che serva a capire come ci siamo trasformati, cosa siamo diventati e soprattutto cosa abbiamo raccontato al paese per non essere stati presi in considerazione come forza di governo e di cambiamento. Il risultato di questa analisi intima che ci racconterà perché il PD rischia l'irrilevanza nel panorama politico del paese.

Purtroppo nel frettoloso e sbrigativo dibattito la tentazione immediata è quella di cavarcela con un cambio di leadership, con un'abiura del recente passato e con un'altrettanto rapida faida interna che lascerà sul campo morti e feriti.

Non credo a un certo racconto che predica, adesso e solo adesso, il bagno di umiltà, il ritorno a immergersi tra le persone, a vivere nelle periferie. Non credo che il PD possa rinascere solo affermando che è doveroso stare all'opposizione. Non credo infine che predicare l'unità interna sia una bussola politica, l'unità è il risultato di scelte politiche, è il risultato di una conta che si fa dopo essersi confrontati sulle cose da fare. Non ci si dice "restiamo uniti" e poi decidiamo cosa fare. Prima decidiamo cosa fare e poi vediamo chi ci sta.

Esistono grandi partiti che tengono dentro anche posizione piuttosto distanti, senza esagerare e senza imbarcare trasformisti, ma con la convinzione che non ci può dividere un anno sì e uno no. Ci si conta e poi avremo una maggioranza e una opposizione.

Ancora.

Non basta dire torniamo nelle periferie. Non è mica uno sport al quale ci si allena per 3 mesi e poi magicamente, con i muscoli gonfi, torneremo a essere un partito che parla a tutti. Non è così. Questo è un processo che durerà - se lo faremo sul serio - anni. E non è detto che vi riusciremo. Tuttavia è l'unica speranza per continuare a esistere. Per continuare a far sì che la sinistra esista in Italia. Altrimenti ci trasformeremo in un'espressione geografica nelle mappe della politica del passato.

Qui dobbiamo capire e ricominciare a capire cosa sia diventato il Paese dopo la grande crisi, quali effetti drammatici e profondi ha prodotto sulle persone, sulle famiglie e sul tessuto produttivo.

Non basta dire noi abbiamo governato meglio, abbiamo governato bene come non basterà dire noi stiamo all'opposizione. O il paese tornerà a inquadrarci come forza di cambiamento oppure svaniremo.

Per essere forza di cambiamento occorre studiare, ripeto studiare, capire, parlare con le persone e stare in mezzo alle persone. Per essere forza di cambiamento è necessario realizzare fino in fondo che selezionare il personale politico non è fare un casting, non è raccogliere un'accolita di fedeli, non è scovare bravi amministratori di condominio e non è infine assumere candidati che sanno solo racimolare voti e tessere con meccanismi opachi. Per essere forza di cambiamento va capito che il cambiamento è una necessità del Paese, delle persone, delle donne e degli uomini che hanno votato altri partiti.

Non esserci posti questo problema e non averlo capito, non aver capito che le persone vogliono vivere bene o almeno meglio, che le persone vogliono trovare un lavoro che li gratifichi economicamente, che vogliono aver più tempo per sé e per la propria famiglia e infine che le persone pretendono dai partiti che essi ascoltino le persone, bene, non aver capito tutto questo è stata la nostra più grande presunzione. Una infinita presunzione.

Anche perché non è un ragionamento lunare: stiamo parlando delle basi della politica. Delle fondamenta di qualunque scelta che preveda un impegno tra le persone.

La differenza tra noi e chi ha vinto oggi sta in questo. C'è poco da scherzare.

Per fortuna, e lo dico senza troppa ironia, qualcuno di quelli che hanno vinto - Davide Casaleggio per essere espliciti - pensa che la vittoria sia frutto della democrazia del web e delle piattaforme. Mentre costoro si cullano in queste analisi noi mettiamoci a studiare e ad ascoltare. Cominciamolo a farlo dalle città. A farlo subito. Anche perché, e questo è un segnale importante, a Roma 1/3 degli elettori continua a dare fiducia a chi Roma la sta governando in questa oscena e indecorosa maniera. Questo è un problema e spetta a noi prima capirlo e poi risolverlo. È la prima prova per capire se abbiamo ancora qualche chance di essere forza di cambiamento e dunque qualche ragione per esistere.

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