Fare politica non significa solo candidarsi. Anzi.


Per me fare politica significa occuparmi tutti i giorni, instancabilmente, delle cose che e mi stanno a cuore e che ci stanno a cuore: da MigrArti, a Mamma Roma e i suoi figli migliori, dal Museo dell’emigrazione al Portale della canzone italiana e cosi’ via; fare politica significa difendere la cultura e combattere perché la solidarietà non soccomba di fronte alla paura, significa dedicare energie alla mia città quando in tanti rinunciano sconfitti in partenza, e altri nemmeno si cimentano.

Come avrete visto, saputo, o capito, in queste elezioni non sarò candidato. Ho riflettuto se fosse il caso di farlo e alla fine ritengo che questa sia la scelta giusta da fare, adesso. Non è consolatorio dirlo e non è nemmeno la volpe che non arriva all'uva, si può anche decidere di comportarsi in maniera contraria al senso comune, cosa alla quel vi ho abituato a partire dallo stile delle mie campagne elettorali e delle mie scelte passate. Un senso comune che costringe il politico a candidarsi a ogni costo, a ogni giro.

La verità è che in queste elezioni il rischio di uno scivolamento a destra, non solo della politica, ma del paese è concreto, tangibile. E il panorama che si prospetta, tra Di Maio e Salvini, è un panorama cupo, fosco, instabile. Da domani rischiamo di vedere più armi in circolazione, quasi che l'Italia si sia trasformata nel Texas; rischiamo di vedere cancellate leggi importanti come quella sulle unioni civili tornando indietro rispetto a una conquista di civiltà; rischiamo di vedere le istituzioni culturali sgretolate e asservite ai capricci di chi vede il mondo deformato dalle lenti della propria ignoranza e del pregiudizio.

Il populismo, il fascismo e il razzismo sono presenti nelle nostre strade , nelle scuole  nei posti di lavoro, prendendo linfa dai dibattiti televisivi e dalle dichiarazioni  di irresponsabili candidati a ‘governare’ il Paese. Molti di noi hanno deciso che staranno a guardare: delusi, arrabbiati, incattiviti.

Non condivido questa scelta, anche se non faccio salti di gioia per il clima in cui andremo a votare. Troppe urla e troppa semplificazione, vedo troppa paura di affermare il nostro punto di vista, troppo timore di fronte ai volubili esiti dei sondaggi; a volte balbettiamo in quella che un tempo si sarebbe definita subalternità culturale.

Compito di chi fa politica tra la gente è anche accompagnare una comunità e farla riflettere sulle storture, sugli elementi irrazionali che circolano impazziti nel tessuto della società. Non possiamo limitarci a prendere atto delle emozioni negative che dominano il paese e la città. Dobbiamo farcene carico, ascoltare, ragionare e spiegare qual è il nostro punto di vista. E come vogliamo cambiare le cose, oppure come le cose le abbiamo cambiate.

Penso a Roma che sembra finita in un vortice negativo in cui declino e disincanto camminano sottobraccio, e di cui tutti siamo spettatori e talvolta attori. Vortice in cui brilla il cristallino disimpegno del vertice dell'amministrazione, questo Sindaco non si vede e non si sente. Non si sa cosa faccia, letteralmente, dalla mattina alla sera.Purtroppo abbiamo perso di vista il senso della politica come visione. Nessuno pone a chi governa e amministra una domanda semplice: come immagina Roma tra 20 anni? Cosa sarà questa città? Quali saranno i fattori su cui costruire la sua rinascita?

E quindi quale turismo, che ruolo per l'innovazione, quale offerta culturale, quale spazio per la solidarietà e l'ambiente immaginiamo, quali interventi di sostegno per i poveri, quali infrastrutture dobbiamo costruire o meglio, recuperare, per questa città da qui a vent'anni? Su questo ci occorre interrogarsi e cominciare a dare risposte.

Ecco perché non serve candidarsi a tutti i costi. Penso che il mio compito sia quello di lavorare insieme a molti di voi per difenderci da un attacco ad alcune conquiste, al dovere della solidarietà e all'impegno per cultura.

Detesto il luogo comune per cui "si sta in panchina pronti a entrare quando c'è bisogno". Quale panchina! La politica si fa dentro e fuori dalle istituzioni, come eletti e come cittadini. Io la vedo così e mi auguro che condividiate - non alla Zuckerberg - questo punto di vista.

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